E anzitutto lasciamo agire l'ingiusto come gli abili artigiani: per esempio un valente pilota o medico è ben conscio delle possibilità dell'arte sua e così si mette a fare ciò che è possibile lasciando stare l'impossibile; e se con tutto ciò qualche volta si sbaglia, ha modo di riprendersi. Così anche l'ingiusto, se vuole esserlo in maniera perfetta, deve attendere attentamente ai propri atti d'ingiustizia, senza farsi scoprire. Chi viene sorpreso, è da ritenersi una persona dappoco: il colmo dell'ingiustizia consiste nel dare l'impressione di essere giusto, senza però esserlo. Dobbiamo quindi permettere al perfetto ingiusto la più perfetta ingiustizia, senza togliergli nulla, e lasciarlo commettere le maggiori ingiustizie e procurarsi la più alta fama di giustizia; e potersi riprendere, se fa qualche sbaglio. Lasciamo che abbia abbastanza doti oratorie per esercitare persuasione, se è denunciato per uno dei suoi atti ingiusti; che usi la violenza ogni volta che occorre, adoperando coraggio e forza e sfruttando appoggio di amici e denaro. Ora di contro a questo individuo immaginiamo di mettere il giusto, un uomo semplice e d'animo nobile, che, per usare le parole di Eschilo, non voglia sembrare, ma essere onesto. [...]
(Platone, La Repubblica, Laterza, 1997, II, 361, trad. F. Sartori)