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Tranfaglia N., Dieci anni di populismo, L'Unità, 29-06-2004

Ora che la crisi italiana si è rivelata più grave e profonda di quanto poteva apparire quando gli italiani avevano incominciato a parlarne più di dieci anni fa, è relativamente facile individuare le ragioni che hanno condotto a questa difficile situazione.

A seguire le cronache della carta stampata (quelle televisive sono divenute negli ultimi tempi una sorta di ossessivo megafono di Palazzo Chigi, con danno non piccolo per l'immagine interna e internazionale del nostro governo) tutto appare ormai relativamente chiaro. C'è una grande anomalia italiana costituita dal fatto che l'attuale presidente del Consiglio è un grande imprenditore televisivo che non ha nessuna intenzione di risolvere il gigantesco conflitto di interessi tra il suo ruolo imprenditoriale (non solo in campo televisivo ma assicurativo, pubblicitario, edilizio e chi più ne ha più ne metta) e quello di capo del governo nazionale.

A questo punto dell'articolo ho da rilevare un difetto nella comunicazione del messaggio. L'autore forse ritiene che presentare l'anomalia formale sia sufficiente ad esaurire il carico di scandalo della situazione che si vuole delineare? Infatti si dice semplicemente che c'è una persona che ha, ma non invece si parla di una persona che abusa, si avvantaggia enormemente, si pulisce di delitti con le televisioni, truffa, turpiloquia, con incredibile disinvoltura sull'intera nazione.

Ha promesso, appena andato al potere, di risolverlo entro cento giorni ma ne sono

Anche il modo in cui continua non copre l'interezza dello scandalo, fa anzi uno sconto. Una soluzione esisteva ed esiste, doveva partire dal soggetto stesso cedere queste cose superflue per andare in contro al superiore bene della collettività: non sarebbe certo diventato povero, se aveva qualcosa da cedere. Non si capisce perché lo si debba costringere con la legge visto che il problema lo dà essenzialmente solo lui e dovrebbe essere chiaro in ogni suo aspetto. Un singolo non può fare il ministro e l'imprenditore e, ancora di più, non si può avvantaggiare di un bene pubblico, gli spazi televisivi, per i suoi fini.

Scrivere come ha fatto l'autore dell'articolo esclude automaticamente questo argomento, il quale è tutt'altro che di minore importanza.

Non evidenzia anche che il potere delle sue televisioni gli è indispensabile per l'esistenza sua, degli altri numerosi complici e per il suo controllo su di loro.

passati quasi mille e nessuna legge è stata approvata da una maggioranza parlamentare che viceversa ha approvato senza colpo ferire la legge Cirami, quella sul falso in bilancio, sul rientro dei capitali usciti in maniera illegale dall'Italia e così via dicendo. Certo per la legge Gasparri ha dovuto registrare il rifiuto della firma da parte del presidente della Repubblica e per la norma eccezionale sulla sospensione dei processi contro Berlusconi ha dovuto incassare la sentenza di annullamento (o meglio la dichiarazione di incostituzionalità) da parte della Corte suprema.

Ma ha affrontato rinvii e battaglie accanite per tutelare gli interessi del presidente del Consiglio e del suo clan di amici e sodali (dall'onorevole Previti al senatore Marcello Dell'Utri per fare soltanto due nomi molto significativi) e non ha speso nessuna energia per fingere almeno di affrontare e risolvere la grossolana anomalia che contraddistingue il governo che presiede ormai da tre anni.

Di fronte a una situazione come quella sinteticamente descritta che si è tradotta, a partire dal 2001, in uno smantellamento sistematico dello Stato sociale e in un attacco assai violento contro i valori e gli articoli più importanti della Carta costituzionale del 1948 (il disegno di legge già approvato dal Senato è un tentativo assai pericoloso di distruggere il delicato equilibrio tra i vari organi costituzionali concentrando tutto il potere nel capo del governo e facendo del capo dello Stato e della Corte costituzionale organi eminentemente formali e decorativi), l'atteggiamento dell'opposizione di centrosinistra è stato velleitario, oscillante, caratterizzato da divisioni e personalismi tutt'altro che piacevoli da analizzare.

L'oscillazione è consistita tra l'idea bislacca di considerare il governo della cosiddetta Casa delle Libertà come un qualsiasi governo democristiano e improvvisi ma sporadici raptus che hanno fatto parlare di invasione degli Hiksos o dei barbari di crociana memoria.

Dire semplicemente bislacca è troppo poco. Significherebbe soltanto che è una idea stravagante, ma realmente è scandalosa ed offensiva.

Evitando peraltro in questo caso di procedere a un'analisi delle cause storiche di breve e medio periodo che hanno portato al potere il movimento populista e televisivo guidato da Silvio Berlusconi dopo cinque anni di governi guidati dal centro-sinistra.

"Populista" è sbagliato, non c'è niente di populista. Lui le persone comuni le disprezza e non c'è nessun consenso possibile verso di lui all'interno del popolo, in quanto tale.

E in fondo la ragione per cui, da parte dei maggiori leader del centro-sinistra, non si è tentato finora di indagare sulle cause della sconfitta è abbastanza chiara: se questa indagine si fosse fatta sarebbero venuti alla luce gli errori assai gravi, di incapacità politica o in certi casi addirittura di vera e propria connivenza con l'avversario che hanno contrassegnato l'ultimo quindicennio della politica italiana, dopo la morte di Enrico Berlinguer.

In questo ultimo periodo c'è una accusa molto grave, che va anche condivisa, ma che richiederebbe una maggiore evidenziazione nel corso dell'editoriale, non è proprio molto visibile nell'ingranaggio dell'articolo.

Ma gli attuali leader hanno fatto di più: non solo hanno accantonato qualsiasi ragionamento sulle cause della sconfitta bruciante del 2001. Hanno in più cercato in tutti i modi di impedire che la loro base discutesse il problema come ho potuto constatare di persona negli scorsi due anni quando, dopo aver pubblicato la mia interpretazione della crisi politica italiana (La transizione italiana. Storia dell'ultimo decennio, Garzanti editore) ho dovuto constatare che i gruppi dirigenti dei Democratici di sinistra, con qualche piccola eccezione, hanno accolto con fastidio e sostanzialmente disertato ogni dibattito su quello che è successo nelle ultime elezioni politiche.

È troppo pericoloso per la loro carriera politica (che è quello che sta a loro più caro) rievocare gli errori e le incertezze dell'ultimo decennio giacché diventerebbe naturale per i loro elettori chieder conto di quanto è avvenuto, delle cause della sconfitta.

Le tare storiche dell'Italia nel lungo periodo - la corruzione diffusa, il trasformismo politico, il distacco tra la politica e la società, la presenza politica e istituzionale delle organizzazioni mafiose, la diffusione minuta dell'illegalità a ogni livello - si sono notevolmente aggravate nell'ultimo triennio con conseguenze disastrose non soltanto dell'immagine dell'Italia nel mondo ma anche del funzionamento efficace e corretto del governo locale e di quello nazionale.

A esse altre si sono aggiunte dalla diffusione nella società di conflitti di interesse percepiti, dato l'esempio offerto dal capo del governo come situazioni di nessun rilievo sul piano etico come su quello giuridico, a una distanza sempre maggiore tra quello che si dice e quello che si fa da parte dei gruppi dirigenti. Infine a una centralità sempre più forte dei mezzi di comunicazione, e in particolare di quello televisivo, nella politica locale come in quella nazionale.

Sicché certe trasmissioni sembrano una sede di dibattito più importante e significativa delle aule parlamentari e i leader del centro-sinistra partecipano a trasmissioni chiaramente orientate da conduttori che fanno riferimento diretto a Berlusconi pur di apparire e dire ai propri

Anche a Craxi, come si può vedere in Telecamere, dove i parlamentari all'opposizione parlano con alle spalle un quadretto che raffigura celebralmente Bettino Craxi.

sostenitori che ci sono anche loro anche se possono sostenere con difficoltà le proprie tesi sia perché la cosiddetta par condicio è osservata con frequenti licenze, salvo che in periodo elettorale, ma soprattutto perché le informazioni vengono date dal conduttore in una maniera sempre più favorevole al governo che all'opposizione.

Ma si deve per forza specificare che mostrare questa benevolenza verso quei personaggi non è semplicemente favorire, ma trasmettere palesi menzogne. Al giorno d'oggi ci sono molte personche che credono che Giuliano Amato abbia creato una voragine nei conti pubblici, quando invece non c'era proprio niente. Una bugia squalificante, proprio per squalificare il più possibile i nemici, non far credere che ci sia possibilità di scelta.

Sicché esistono ormai in Italia cittadini di varie categorie: ci sono quelli di serie A (ma il loro numero è assai limitato) che conoscono quello che accade nella politica nazionale e internazionale attraverso i rapporti diretti con gli attori sulla scena o attraverso sofisticate letture di una documentazione accessibile a pochi, poi ci sono quelli di serie B che leggono accanto ai quotidiani, o al quotidiano della maggioranza, giornali di opposizione, poi ci sono quelli di serie C e D che apprendono le notizie dai canali televisivi, tutti controllati direttamente o indirettamente dal presidente del Consiglio e di quello che accade hanno un'immagine mutilata e gravemente deformata.

Esatto. Manca soltanto di definire bene la variabile temporale in cui questo si è verificato. Con eccezionale intensità è da dieci anni, probabilmente in massimo grado dal 1996, e con grande coinvolgimento della RAI, nonostante l'Ulivo.

In simili condizioni un articolo importante del dettato costituzionale, l'articolo 21, è tacitamente abrogato nell'Italia contemporanea e parlare come ha fatto di recente l'opposizione moderata raccolta nel triciclo di un «Paese semilibero» a me pare un eufemismo giacché registra sul piano formale la situazione ma non cerca di andare più a fondo e di cogliere le ormai strutturali e gravi distorsioni del sistema informativo e la sua connessione assai stretta con quello politico italiano.

C'è, insomma, la necessità di analisi approfondita di una democrazia che io considero ormai in pericolo se da parte dell'opposizione non si deciderà di affrontare al più presto l'esame delle cause che hanno portato al potere il populismo di Berlusconi e, nello stesso tempo, di presentare agli italiani - il che non è ancora avvenuto - un progetto politico e culturale in grado di disegnare per le prossime elezioni generali un'Italia del futuro democratica e solidale, fedele ai valori della Costituzione repubblicana, aperta alle nuove generazioni come ai movimenti e alle spontanee associazioni, fedele alle pagine migliori della sua storia.

Così termina l'articolo.

(17/09/2004)

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